Di Nicola Strumenti
Oggi è il 1 maggio, la festa dei lavoratori. Ho ritenuto importante ricordare in questa
data uno dei sindacalisti e degli uomini politici che maggiormente hanno
contribuito a fare la storia del nostro paese, Giuseppe Di Vittorio.
Da
bracciante poverissimo e semianalfabeta nella Puglia dei primi anni del
Novecento, a fondatore del più grande sindacato dell’Italia democratica,
deputato del Regno d’Italia e dopo la Seconda Guerra Mondiale deputato
all’Assemblea Costituente, esponente di spicco del Pci nel dopoguerra,
presidente della Federazione Sindacale Mondiale. “Una vita, quella di Giuseppe
Di Vittorio, avventurosa e intensa, che spesso sfiora i confini del mito, senza
però mai perdere di vista i valori più preziosi: il lavoro e la democrazia”.
Quegli stessi valori che sono alla base della nostra Costituzione. Di Vittorio è stato un sindacalista, un grande
sindacalista schierato sempre dalla parte dei lavoratori, fossero i
braccianti agricoli o gli operai e di tutti coloro che rivendicavano attraverso
il lavoro dignità e il pane quotidiano. E’ stato l’emblema della lotta politica
e delle libertà sindacali.
Come ebbe a dire Pietro Ingrao,
importante esponente del PCI, “Di Vittorio è stato il simbolo di tutta l’Italia
oppressa che si alzava in piedi e che poneva il problema del suo riscatto e
della sua emancipazione”.
In questa mia breve trattazione intendo
percorrere soltanto alcuni momenti della sua vita, quelli più significativi, lasciando
alla curiosità di chi avrà la pazienza di leggermi, conoscere per suo conto e
per altre vie il resto della sua appassionante vita.
Il primo di questi momenti risale al 1921, anno in cui venne
eletto deputato del Regno. In questo periodo dilagava il fascismo che reprimeva
con forza e con violenza le richieste sindacali dei contadini che rivendicavano
migliori condizioni economiche e di lavoro e che devastava le sedi delle
organizzazioni sindacali pugliesi.
Giuseppe Di Vittorio, era il più qualificato ed
importante esponente del sindacato comunista della C.G.dL. e uno dei più fieri
e convinti oppositori del fascismo.
Nonostante il clima di violenza ed intimidazione Di Vittorio venne eletto deputato del Regno. Era il 11.06.1921.
Il discorso che pronunciò alla Camera durante la prima seduta del Parlamento è
passato alla storia. Queste le sue parole:
“Onorevoli
colleghi, questa mattina qualcuno seduto in quest’aula, per dimostrare il suo
disprezzo per la mia presenza qui, ha mormorato: “Un cafone in Parlamento…”.
Ebbene sappiate che questo titolo non mi offende, anzi, mi onora, infatti se io
valgo qualcosa, se io sono qua, lo devo ad Ambrogio, a Nicola, a Tonino, a
tutti quei braccianti analfabeti che hanno dormito insieme a me nelle cafonerie
e con me hanno mangiato pane e olio, che hanno lottato duramente per i diritti
dei lavoratori, di tutti i lavoratori, perché la fame, la fatica, il sudore non
hanno colore e il padrone è uguale dappertutto.
C’è un
sogno che mi ha portato qua ed è quello di vedere un giorno i braccianti del
sud e gli operai del nord camminare fianco a fianco, lottare per gli stessi
diritti, ebbene per questo sogno io sono disposto a lottare fino all’ultimo dei
miei giorni”.
E’ interessante
notare come quaranta anni prima di Martin Luther King un altro uomo, in un
altro continente, abbia pronunciato le stesse parole che pronunciò il leader
afroamericano, riferendosi anch’egli al
desiderio di vedere finalmente realizzati i principi ideali in cui credeva, gli
stessi per cui tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutte le etnie saranno sempre disposti a combattere, quelli di libertà, di emancipazione e di
uguaglianza politica e sociale.
Ventitre anni
dopo, esattamente il 9 giugno del 1944, Di Vittorio, sarà l’autore del
capolavoro politico/sindacale passato alla storia come il “Patto di Roma”,
stipulato tra gli esponenti dei maggiori sindacati italiani e con il quale
venne fondato quello che diventerà il più importante sindacato italiano la CGIL.
Con esso Di
Vittorio, un “cafone della provincia pugliese, “mezzo analfabeta” secondo
l’opinione dei suoi detrattori, realizzò ciò che non era mai riuscito fare a
nessuno, l’unità di tutti i lavoratori italiani indipendentemente dalle
opinioni politiche e dall’appartenenza religiosa.
Per meglio
comprendere l’importanza di questo accordo, occorre ricordare il momento
storico che allora l’Italia stava vivendo.
Roma era stata appena liberata dagli americani, ma la guerra infuriava
ancora nel Nord Italia, le forze del Comitato di Liberazione Nazionale erano
divise. Le forze sindacali appartenenti alle diverse ideologie politiche anche.
Di Vittorio importante figura della sinistra comunista, nonostante la rigidità
ideologica del partito di cui era militante, dà prova di grande elasticità e
lungimiranza politica riuscendo a conciliare le diverse posizioni e dare vita
all’unità sindacale.
PALMIRO TOGLIATTI |
Ma lo stesso uomo che fu capace di unire i lavoratori d’Italia fu anche il responsabile della loro lacerante separazione. Siamo nel 1948, alle ore 11.45 del 14 luglio, Palmiro Togliatti segretario del partito comunista italiano, il più importante partito comunista del mondo occidentale subisce un attentato. Lo studente Antonio Pallante gli sparò tre colpi di pistola. Erano passati pochi mesi dalle prime elezioni politiche, la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi aveva vinto, spingendo all’opposizione le forse di sinistra, socialiste e comuniste. La rabbia del popolo di sinistra era ancora palpabile ed evidente nelle dichiarazioni e nei moniti lanciati dai suoi principali esponenti. Togliatti sopravvisse, ma l’attentato ebbe comunque grandi e pericolose conseguenze.
EDIZIONE STRAORDINARIA DELL'UNITA' |
Due anni dopo,
sarebbero nate le altre due grandi confederazioni sindacali nazionali, la Cisl
di ispirazione cattolica democratica e laico riformista e la Uil dal
carattere socialdemocratico e riformista.
L’anno 1953 fu un anno altrettanto
importante nella vita del grande sindacalista. In quell’anno venne infatti nominato
Presidente della Federazione Sindacale Mondiale, ma, quello, fu anche l’anno della morte di Stalin,
il successore di Lenin alla guida
dell’Unione Sovietica. Seguirono anni di sommovimenti, di riflessioni e di
ripensamenti legati alla figura del dittatore scomparso, fino al fatidico 25
febbraio del 1956, quando Krusciov suo successore,
durante una riunione
segreta del xx Congresso del PCUS, denunciò
ai delegati comunisti il culto della personalità di Stalin ed crimini da lui
compiuti durante il periodo della Grande
Purga, confermando di fatto le mezze verità che circolavano sul suo conto.
NIKITA KRUSCIOV |
Il 1956 è l’anno che precedette
la morte di Giuseppe Di Vittorio. Quell’anno fu davvero drammatico: l’uomo che aveva
guidato le lotte operaie e quelle contadine, a cui tutto il mondo del lavoro doveva
gratitudine e riconoscenza, emblema fino a quel momento dell’emancipazione dei
lavoratori italiani, entrò in crisi. Una crisi che partiva da lontano, dai
contrasti interni a Mosca seguiti alla morte di Stalin e da quel fatidico “discorso” in cui si affermava che Stalin, l’uomo di acciaio, in cui tutto il mondo socialista si
riconosceva, era stato un dittatore né più, né meno, come lo erano stati
Mussolini ed Hitler.
Ma ad aggravare questa prima
crisi, se ne aggiunge un’altra ancora più drammatica: il 23 ottobre del 1956
i carri armati sovietici entrano in Ungheria e reprimono con la forza una svolta politica riformista intrapresa dagli
studenti e dal popolo ungherese che
manifestava contro il governo in carica e contro la presenza sovietica nel
proprio paese.
I comunisti di tutto il mondo
protestarono e gridarono il loro sdegno
contro l’aggressione compiuta ad un “Paese Fratello” ma non il Partito
Comunista Italiano guidato ancora da Palmiro Togliatti.
Di Vittorio a sorpresa fu tra
coloro che si unì alle proteste internazionali e fece votare dal suo sindacato
un comunicato di solidarietà a favore degli insorti. Togliatti però con un atto
di forza lo costringerà a rimangiarselo. Quella sera si racconta che Giuseppe
di Vittorio pianse per l’umiliazione e per lo sdegno. Aveva guidato le lotte
operaie e quelle contadine, non si era mai piegato di fronte a nessuno, ma quella
sera dovette piegarsi alla forza del suo partito. In quel pianto forse era
contenuto un anticipo della morte che lo avrebbe colto l’anno successivo.
Link del discorso di insediamento alla camera del Regno pronunciato da Di Vittorio nel 1921 tratto dell'omonimo sceneggiato televisivo andato in onda sulla rete pubblica nel 2009
https://www.youtube.com/watch?v=S8-5G9tNjCY
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